Dramione

Dramione

lunedì 5 dicembre 2011

Quello che vorreste sapere di un'autrice

L'intervista ad Atopika

A cura di Venenum.



Questa volta sono qui con Atopika, l’autrice di “Peccato” e “Medusa – come le fragole e il sangue”. Entrambe storie eccezionali, che hanno sicuramente catturato l’attenzione dei lettori più esigenti. In ogni suo scritto possiamo trovare un lessico curato, attento; Atopika tratta i suoi personaggi come panna, li fa continuamente montare e sgonfiare! Una delle sue particolarità è sicuramente il modo in cui intreccia le trame, seminando indizi nei capitoli più impensabili e  deliziandoci con il suo stile altamente infiammabile.
Atopika, hai recentemente scritto “Monsters”; che cosa ci racconti di questa storia, che fin dal primo capitolo mi ha conquistata? Come è nata l’idea di inserire dei mostri collegati alla realtà e ai sogni? I protagonisti hanno appena ripreso a vivere; dopo la guerra tutto è mutato, credi che sia questo uno dei fattori scatenanti o dobbiamo scavare più in fondo, pensando al passato di Hermione, di Draco e di Astoria?

Ciao a tutti! Per me è un onore ritrovarmi qui a condividere un po' di panna col gruppo. E a proposito di stile infiammabile e camini sempre accesi... prometto di tenermi lontana dall'accendino. Oggi si va avanti a candele, fanno più atmosfera!
Monsters è nata da un periodo di cui ho difficoltà a parlare, dalle riflessioni che ho maturato dopo settimane in cui mi sono sentita circondata dalla morte. Monsters è nata quando ho accettato che, per quello che ho scelto di fare nella vita, dovrò affrontare la morte più o meno ogni giorno. Così ho sentito il bisogno di rielaborarla. 
Sognare i mostri è un'esperienza comunissima, soprattutto quando si è bambini. Il mio pensiero l'ho trasmesso a Draco: da grande sogni ancora i mostri, ma quei mostri non nascono dalla paura per il futuro. A un certo punto ti rendi conto che proprio quei mostri sono ricordi del giorno prima. E allora ti senti spiazzato, se non riesci ad affrontarli. 
Per affrontarli ti viene in mente che devi conoscerli. C'è qualcosa di bizzarro in tutto ciò? Sì, ed è l'eventualità che certe volte ti avvicini così tanto, a quei mostri, da finire a farci l'amore. È una cosa da uscirne pazzi. Voglio dire: sono abbastanza convinta che una volta, mentre ci riflettevo, ho avuto le vertigini. 
Prima di capire che la questione era effettivamente molto semplice e prevedibile: quei mostri sono una parte di noi. Ci fai l'amore ed è come se ti abbracciassi.
Il fatto che Monsters inquadri il periodo successivo alla guerra è più legato a una questione di gusto personale. Mi sono accorta di amarlo perché mi dà la possibilità di infilarmi in un'atmosfera malinconica, a tratti sfuggente, ma piena di vita – di tutta quella che i personaggi vogliono recuperare. 
Naturalmente è anche una scelta strutturale: infilare i ricordi della guerra tra una riga e un'altra mi ha permesso di avvicinarmi a mostri d'elite, e si sa che uno è sempre curioso di spogliare qualcosa di esclusivo.


In “Monsters” troviamo delle parole particolari ma soprattutto cadute in disuso. Non è raro trovarle nelle tue storie – e per questo ringraziamo la tua immensa cultura – ma in un’epoca in cui vige il linguaggio SMS come ti trovi a inserirle in un contesto come EFP?

È vero. Ogni tanto utilizzo parole così morte che mi chiedo se una mia storia non sia un cimitero. Ma non lo faccio nella speranza di farle risorgere.
La mia voglia di rischiare con parole ormai cadute in disuso parte da una voglia ben più consistente: quella di ridere. Ci sono delle volte in cui vedi un sistema, un qualcosa che proprio non ti piace, e allora la reazione naturale ti porta ad agire in maniera opposta. A quel punto rischi di essere ridicolo pure tu (ma non fa niente: appena scrivo parole indicibili mi ripeto "panna e fragole" così tante volte da convincermi che siamo alla normalità).
Il linguaggio SMS fa parte dell’evoluzione della lingua, che è sempre una cosa in movimento lungo la storia. Per come la vedo io il problema del linguaggio SMS è la frattura che scava non col passato, ma col futuro. Ogni volta che si è evoluta, la lingua mirava a qualcosa, a volte non molto preciso, ma una meta c’era. Il linguaggio SMS non ha trovato nemmeno la sua direzione, se non quella dell’incomunicabilità.
Che sorprendentemente è anche il dramma di Hermione in Mosters. Il ragazzo medio può mai capire tutte le parole di cui si riempie la bocca? Assurdo.
Il percorso che ho fatto con Hermione è stato in qualche modo facile, perché non si trattava di un’intera generazione, ma solo di una ragazza da salvare. Io ho pensato a come salvarla, e lei ha pensato a cosa fare per salvarsi. Ci sono alcune scene in cui è vicinissima a Draco. Sono quelle le parti in cui risolve il problema dell’incomunicabilità.
Quando si presenta da Draco con la maschera da mostro e lui le chiede se per caso voglia sentirsi mostruosa, Hermione non gli risponde con un epiteto inconcepibile, ma con la più semplice delle frasi, che infatti è aperta a qualche interpretazione di troppo: una volta tanto le andava bene così.
Nella scena di sesso si trovano ancora più lontani dall’incomunicabilità, perché è lì che succede l’assurdo: Hermione non dice nemmeno una parola impossibile, anzi spiega qualcosa che aveva lasciato in sospeso, e lo fa con una semplicità che fino ad allora l’aveva terrorizzata: «il mezzo fraudolento. Sono le tue mani». Proprio mentre Draco pensava a una parola impossibile (ruscellante!) e si diceva che le calzava proprio bene. 
Allora hanno trovato un punto d’incontro, e la soluzione al problema in cui li avevo ficcati.
Alla fine con loro ho avuto una risposta anche io. Almeno, se la prossima storia sarà comunque un cimitero, avrò creato qualcuno impaziente di portarmi i crisantemi.


Ma “Atopika” quando ha cominciato a scrivere? Quale mostro popola le tue giornate – o le tue nottate – quando posi le dita su una tastiera o prendi in mano una penna? Sappiamo che sei molto ipercritica con te stessa, quindi mi chiedo cosa ti rimproveri più spesso e quale errore non smetti di fare, peccando con la Santa Scrittura che tu giudichi tanto importante?

Ho cominciato a scrivere dopo un paio di situazioni avventurose. Per esempio dopo aver preso cinque a un compito di italiano, perché non mi ero proprio applicata dato che la priorità era scrivere un fumetto con la compagna di banco. 
Però chi mi ha dato cinque non ha mai smesso di credere in me. Fin quando è arrivato un momento in cui la mia fissa per Ulisse mi ha indotta a fare un'assurdità. Me lo ricordo come andò. La prof mi chiese chi era Ulisse per me e io risposi che siamo tutti Ulisse. Poi fece: «sì, ma quale Ulisse? C'è quello di Omero, di Dante, di Pascoli, di Saba...».
Allora mi rovinai, perché dissi che eravamo tutti un Ulisse che non era stato ancora spiaccicato sulla carta.
Le mie prime storie sono disastrose per questo: quando creavo un personaggio, lo spiaccicavo sulla carta. Letteralmente. Non eravamo in sintonia, perché comunicavamo solo grazie alla rabbia.
Poi è arrivato un momento, l'anno scorso, in cui ho letto qualcuno che trattava i suoi Ulisse meglio di me. Allora ho tentato di adagiare i personaggi sulla carta, e poi di coccolarli. È stato bello, così bello che ora so per certo di volerlo fare a vita. Ciò non significa che coccolando Ulisse XXVIII mi sia liberata dei miei mostri.
Il mio mostro più grande è l'oscurità. Per molto tempo ho avuto difficoltà a spiegarmi, durante la stesura delle mie storie. Eppure il mio mostro è anche qualcosa di più reale, tangibile: me stessa. Non ancora riesco ad avere un controllo decente su di me. Ciò non vuol dire che scrivere sia un modo di controllarmi. Scrivere è un modo per trovare la me stessa che non ha bisogno di essere controllata. Per questo sarò pure un mostro, ma uno di quelli che voglio imparare ad amare.


Nominando il verbo “peccare”, ovviamente, non posso fare a meno di chiederti notizie di “Peccato”, la tua prima Dramione. Hermione è invischiata in un “Circolo per Credenti”, mentre Draco, quasi sempre, appare come il peccatore, il mefistofelico. Quando, esattamente, ti si è accesa la lampadina riguardo questa fan fiction? Cosa potremmo aspettarci dal finale e quanto manca per arrivarci? Abbiamo sentito in giro che si dividerà in due parti…

“Peccato” è il mio modo di ironizzare sul peccato. Davvero. C'è in giro una concezione del peccato che io non riesco proprio ad abbracciare. Insomma pare che fare una cosa proibita sia da peccatori. 
Perciò nella fanfiction chi è il peccatore? 
C'è una parte, nell'intro, che non compare proprio nella storia. Ed è una parte in cui Hermione pensa assurdità del tipo: sembrava che Draco avesse rubato i polsini a un Satana tentatore, perché quando le sfiorava il collo con le mani altro non era se non tentazione.
E poi fa: «Peccato», lo chiamò, e lui rispose: «Ricordami».
Allora la peccatrice è Hermione, che si invischia in qualcosa di proibito?
Qui entra in gioco la mia riflessione di fondo: per me il peccato non è qualcosa di proibito, io sono a favore della sperimentazione. Per me il peccato si misura in pezzi di vita. Togli pezzi di vita a una persona o a te stesso? Sei peccatore. Senza dubbio.  È per questo che li ho incastrati in un gioco di vita e di morte. È per questo che ho dato a Hermione l'illusione di sentirsi viva, e poi subito dopo minacciata di morte. Hermione sbaglia, ma non è peccatrice.
Quindi alla fine hai ragione tu: è Draco il peccatore, ma il motivo devo ancora spiegarlo. 
Non è peccatore perché fa pensate mefistofeliche, o perché è un ragazzino viziato che vuole tutto e subito. Draco è un peccatore perché sbaglia così tanto, che alla fine i suoi errori mettono a rischio la vita di qualcuno. Più di uno, per essere precisi. 
Allora cosa c'è da aspettarsi dalla fanfiction?
Che Draco possa ancora sbagliare. “Peccato” è antecedente al periodo della guerra, quindi non ho un personaggio che si confronta con se stesso per ritrovarsi. Ho un personaggio che deve confrontarsi con gli altri, con tutto ciò che gli è estraneo. Per conoscersi.
Draco e Hermione lo fanno. La differenza è che Hermione lo fa cercando anche se stessa, perché è pronta a cambiare per mandare avanti la baracca. Draco no. Draco non se lo fa venire nemmeno in mente. E tutto ciò avrà delle conseguenze, come quelle che prima o poi spiaccicherò nel capitolo venti.
La fine, questo posso dirlo, vedrà tutti i personaggi avanti di qualche mese, alla fine del sesto anno scolastico. E sarà così stupida e adolescenziale, che probabilmente riuscirà a raggiungere il suo scopo: far perdonare i peccatori, perché erano ingenui e ragazzini e non sapevano quello che facevano. A parte quando lo facevano nella stanza delle necessità.
  

In “A volte mi manco”, spin off di “Peccato”, hai evidenziato un Draco più sensibile rispetto alla storia madre. Che cosa ti ha spinta a scrivere in questo modo di lui? Raccontami del “tuo Draco”; di colui che abita nella tua mente. C’è qualche differenza con quello della Rowling? Quanto e quando l’IC è importante per te?

Io ho iniziato a scrivere di lui molto dopo aver letto “I doni della morte”. Ho questa immagine assurda in testa. 
All'epilogo del settimo libro ci sono io che abbraccio Harry, Hermione e Ron, ringrazio sentitamente e dico a Ron che ha una pancia da alcolista. Forse. Comunque ringrazio Harry che mi ha portata per mano nel suo mondo e me l'ha mostrato in maniera incredibile.
Poi invece di andarmene da lì, faccio una pensata molto malfoyesca: me ne vado al ministero della magia e rubo una giratempo. Così ripercorro tutti i loro anni a Hogwarts per conto mio, senza Harry a farmi da guida.
E qui nasce Draco come lo vedo io, non come lo vede Harry. Lo so, probabilmente è troppo diverso da come lo vede la Rowling (riverenza!), ma è il Draco che ho cercato di scrutare fino in fondo.
Quello che mi aveva presentato Harry era un ragazzino viziato, un attaccabrighe che si è beccato qualche pugno edificante, che parla delle mutande di Hermione ma non perché vuole vederle, e che ha i capelli biondi e gli occhi grigi.
Il Draco che ho visto io è un ragazzino viziato, un attaccabrighe che si è beccato qualche pugno edificante e ne meritava molti di più, che parla delle mutande di Hermione proprio perché vuole vederle, e che ha i capelli biondi e gli occhi così grigi che non ci si può impedire di pensare cosa ci sia, dietro tutto quel grigio. Il mio Draco è la risposta agli occhi che per Harry erano grigi, e per me nascondevano qualcosa. Il qualcosa è una catena di aspetti che non è uguale in tutte le mie fan fiction, ma ha sempre la stessa lunghezza, in modo da stare sempre a pennello intorno al collo di Draco – all’occorrenza, anche per strozzarlo.
 Il Draco di "A volte mi manco" lo sento vicinissimo: sia a lui che a me. Perché la condizione di Draco in quel pezzo di storia è una di quelle che prima o poi investono tutti. Draco dice che è persino stufo di guardarsi da dentro, che vorrebbe guardarsi attraverso gli occhi di lei, ma che sarebbe disastroso, perché per questa lei Draco è solo nulla da riscrivere. E qui c'è il dramma. Un dramma che in molti, penso, abbiamo provato spesso. Sentirsi nulla è il peggiore dei drammi.
Però io sono stata ottimista. Quando Draco finisce il suo pezzo, nella drabble, dice che mancarsi gli ha fatto bene, perché a mancare sono sempre le persone importanti. E lui è importante.


In “Medusa – come le fragole e il sangue” hai usato molti espedienti in ogni capitolo, ognuno più bello dell’altro; scimmie nude, ciaramelle, Il Maestro e Margherita… questi elementi ti hanno aiutata a costruire la trama della storia? Era tutto già pensato prima di essere trasferito su carta o hai seguito un’ispirazione momentanea?

"Ciaramelle" è stata un'improvvisata. Dai, dillo ad alta voce: ha un suono bellissimo. Come tutti i Natali in cui mio nonno mi faceva salire in piedi sul tavolo e mi faceva recitare “Ciaramelle” di Pascoli. 
"Ciaramelle" ha il suono di tutti i Natali della mia vita.
È stato il gioiello che ho usato per sentirmi preziosa mentre scrivevo. Il Maestro e Margherita invece sono amiconi, mi hanno aiutata proprio a costruirla, la trama.
Più di quanto si possa immaginare leggendo solo i capitoli. Io attraverso di loro ho visto il futuro della storia. È così che hanno dato spessore alla trama: sapevo che dovevo portare tutti i personaggi lì dove sono arrivati loro.
Alle scimmie nude pure ci avevo pensato prima di sedermi a scrivere. Ma è stata più una folgorazione che una riflessione. Suonavo e non riuscivo a seguire il metronomo. Se ci provi sai che è abbastanza umiliante. Perciò quando sono salita di nuovo in camera e mi sono ritrovata "La scimmia nuda" sul comodino, mi è venuto in mente l'esperimento con metronomi, ninne nanne, silenzi assurdi, cuori che battono, seni scoperti. Insomma: roba proprio per me, non potevo ignorarla ancora. Ero in paradiso: potevo usare quel maledetto metronomo per spogliare i personaggi. Sono soddisfazioni che si provano poche volte nella vita, e soltanto se ti ripeti che andante (con settantadue battiti al minuto, come i cuori sani)… andante è  carino, ma più veloce è sexy e più lento (adagio!, adagio!)... più lento può essere amore, o creazione.


Con “Medusa – come le fragole e il sangue” hai raggiunto un grandissimo successo, dovuto anche alla bellezza immensa e profonda della storia. “Alla fine del libro il maestro e Margherita non sono del tutto morti”. Si concludeva così la storia, con questa frase enigmatica e con un finale quasi tragico e lancinante. Ma esiste un seguito di “Medusa”? E se sì, come li immagini dopo la fine?

Certo che esiste un seguito! Però fortunatamente rimarrà nella mia testa. 
Ci sono dei passaggi, negli ultimi paragrafi, in cui io ho messo alcune parole che per me sono il vero seguito. 
Il seguito nasce da una riflessione di fondo. Narcissa è stato un personaggio che mi ha toccato molto, e ha toccato anche tanti altri e ne sono felicissima, sul serio.
Narcissa ha amato così tanto che magari ci si chiede come abbia fatto a non consumarsi. Ma non è detto che abbia lasciato un figlio adatto alla vita. Per me Narcissa non è un'eroina, Margherita lo era. Dell'eroina classica non è che le manchi la forza, ma l'esclusività. Ha fatto ciò che dovrebbero fare le mamme, secondo me, anche se certe volte ha esagerato. Non è un'eroina: è una mamma, e per questo è anche meglio. 
Perciò io nel seguito farei diventare molto amiche Narcissa e Margherita... si capisce, no?
E i due impiastri li metterei davanti a qualche decisione importante. Perché per ora l’unica decisione che hanno preso è stata quella di scegliersi, e si sa che una soluzione del genere è sempre la più pericolosa.


“Medusa – come le fragole e il sangue” si è classificata seconda al contest “Orgoglio Dramionesco” di LyliRose. Era il tuo primo contest? Hai mai partecipato ad altri concorsi di scrittura, che non obbligatoriamente devono essere legati a EFP? Cosa ha scatenato in te quando “Medusa” si è classificata seconda?

Quando Medusa si è classificata seconda? Mi sono dannata perché non avevo keglevich panna e fragola per festeggiare.
Il contest era un'esperienza nuova per me, ed è stata anche un'esperienza edificante. L'ho vissuto con serenità, soprattutto dopo aver consegnato la storia. Mi aspettavo un giudizio serio e imparziale: l'ho avuto ed è un bel traguardo.


Dai tuoi scritti viene fuori che sai essere molto persuasiva con l'occhio del lettore, ma il tuo occhio da critico, invece? Che cosa temi di più delle tue mani? Quando scrivi, che cosa senti attorno a te? Ti limiti ad ascoltare le parole della tua mente o scavi nel profondo del tuo cuore? E' un lavoro di ispirazione o è più manuale, che automatico? 

Quando scrivo intorno a me sento Brian Molko che mi dice che ho un rossetto bello come il suo. Se mi va bene lo sento parlare e cantare in francese. Io di francese non capisco nemmeno una parola, ma non è importante, perché così mi aiuta a sentire me.
E no, non scavo mentre scrivo! Mi ci vedi con una pala a buttare pezzi di cuore qui e lì? Ho un'immagine diversa in testa. Scavo prima, magari di notte, quando scavarsi nel cuore non sembra una cosa faticosa ma molto intelligente, mentre il giorno dopo ti sembrerà un filino assurda. Intanto ho tirato fuori qualcosa.
Ma quando scrivo è come se mi prendessi tutta – quello che di me non cambia mai, quello che ho appena scoperto –, come se mi prendessi proprio tutta, e mi abbracciassi. Se ti abbracci e non ti fai sfuggire niente allora funziona. Soprattutto quando ti abbracci senza stropicciarti la camicia o rovinarti la manicure. Quindi cosa temo? Di rovinarmi la manicure, tanto a casa non stiro io... Ah no, questa non è una risposta politically correct. 
Insomma: temo di non sapermi abbracciare.


Tutti gli autori hanno un sogno nel cassetto, ed è quasi sempre quello di venire pubblicati. Immagino che sia così anche per te. Ma naturalmente la domanda è a trabocchetto: cosa non vorresti mai che i tuoi lettori leggessero? Qual è il tuo tabù per quanto concernono i temi del sesso?

Il tabu è qualcosa che di solito usa il padrone per non far progredire il servo. Se devo essere serva (ma chi  vado a servire poi? Ulisse XXVIII?)... se devo essere serva, allora voglio un padrone che faccia del suo servo una divinità. E io sono di quelle persone ottimiste che pensano che quando il servo diventerà padrone, non metterà in conto nuovi tabu. Sono una serva libertina, Hegel l'avrebbe detto meglio di me. Perciò non sarebbe un tabu a limitare la nudità dei miei personaggi. Ma ci sarebbe un'altra cosa: la voglia di capire cosa voglio scrivere. Se scrivo di sesso, allora lo faccio come ricerca del bello – di una sensazione particolare, di una novità, di un’esperienza. Perciò se non dovessi scrivere come una tipa dotata di french beret alla ricerca della bellezza, allora o la scena di sesso sarebbe funzionale alla trama o sarebbe indice di mia personale astinenza dalla panna.
Tutto il resto non lo scriverò, perché non è quello che voglio fare.
Sia se continuerò su efp, sia se qualcuno un bel giorno sarà talmente in astinenza dalla panna da svegliarsi con la voglia di pubblicarmi.
Quel che temo di più è semplice. Temo che a chi mi legga non resti niente. Non voglio dare risposte ai lettori con le mie storie. È vero, io scrivo per darmi risposte, ma non sono nella storia, né sono quelle che servono agli altri. A me piacerebbe scrivere per fare le domande migliori del mondo.
Ho una nota nella mia pagina facebook, quella che usavo quando non riuscivo a continuare una storia. Lì dissi: risposte nessuno poteva darle, allora cercava chi faceva le migliori domande. A me piacerebbe essere una persona del genere. Perciò è questo che vorrei evitare: farmi leggere e non ispirare nemmeno una domanda.


Di Atopika sappiamo sempre che scrive nei suoi stati: "Dalla panna alla penna". 
Sei una abile divoratrice di panna? Essa è fonte di ispirazione per te? Da cosa trai le tue ispirazioni più profonde; cosa ti spinge a scrivere esattamente e quale atmosfera vuoi che ti circondi quando giochi con le parole?
Certo che sono divoratrice di panna, ma mica tanto abile! Per me la panna è un concetto, perché se qualcosa non lo rielabori come concetto non ti piacerà mai sul serio, fino in fondo. Ci pensi a un ricciolo di panna? È bellissimo. È come se fosse nuvola e materia prima per un filo di perle. 
Ecco, è di questo che ho bisogno: sentirmi circondata da qualcosa che reputo prezioso, anche se non esiste. Non mi importa altro dell'atmosfera.
Certo: se nella stanza ho il remake moderno delle invasioni barbariche, non scrivo. Ma questo capita soltanto quando qualcuno imprevedibilmente resiste al rosso delle pareti.


Atopika, ti firmi sempre con il tuo vero nome quando aggiorni una storia. Filomena. Quali sono le differenze sostanziali tra Atopika e Filomena? E quale delle due parti è più presente quando scrivi?
Ma soprattutto... Chi è nella vita di tutti i giorni Filomena?

Filomena è quella tizia che non si muove senza rossetto e che cerca di diffondere la parola di Naruto tra un mucchio di colleghi che guardano solo Dragon Ball. È una che si è imbucata a medicina perché voleva fare qualcosa di eroico, e perché medicina per una questione personale era l’unica cosa che probabilmente non doveva fare. Ma palpare i fegati è bello, come si può resistere? Così ora sta al terzo anno e ha cercato di fare di tutto: prendere un cuore in mano, vivere lì e tornarsene a casa perché l’indipendenza non è bella come la sua famiglia. Filomena, come dice sempre, suona spesso "La Tempesta" perché voleva dare la mano a Beethoven e assicurargli che la tempesta era tutta sua, non era né di qualche personaggio delle fanfiction né di Shakespeare. Perciò Filomena scrive di Draco Malfoy, il tipo con gli occhi presumibilmente tempestosi.
Ma qui c'è il dramma. Perché per scrivere di Draco Malfoy deve fare la fusione con Atopika. Hai presente se vai in un centro e dici: «ho bisogno di fare qualche esame alla tiroide» e loro ti danno in pasto un mezzo di contrasto per vedere se c'è qualcosa che non va? Bene. Il mio mezzo di contrasto è Atopika. Senza Atopika, Filomena non saprebbe cosa c'è che non funziona in lei. Filomena avrebbe anche meno problemi, ma non sarebbe altrettanto viva, perché avrebbe poca vita interiore.
Filomena è anche una grande estimatrice di Chuck. Chuck-quello-che-scrive e non Chuck Bass, perché di Chuck Bass vuole essere l'amante. 
Insomma un Chuck-che-scrive una volta ha scritto: “If I can't be beautiful, I want to be invisible".
Anche io. Ma non è una cosa narcisistica, è qualcosa che va oltre. È che ti svegli la mattina e ce l'hai col mondo perché ti sei dimenticata l'innervazione dello stomaco e allora dopo esserti vestita con camicia bianca e jeans neri, ti viene in mente che vuoi essere più bella. Atopika è il foulard rosso. Atopika è ciò che mi fa sentire più bella.
Perciò quando scrivo, dato che devo essere il massimo della bellezza, Filomena e Atopika devono coesistere.
C'è stato un periodo in cui volevo che fossero la stessa persona, ma ho avuto qualche difficoltà. Filomena non cambia molto, Atopika vuole cambiare come tutti i suoi personaggi. Allora ho capito che non saranno mai uguali, e me ne sono fatta una ragione. Anche perché oggettivamente con un foulard rosso che fa da mezzo di contrasto Filomena si sente più figa.



Anzitutto vorrei ringraziare Atopika per avermi concesso l'intervista. E' stato un onore poter discutere amabilmente con lei! E' davvero come la incrociamo nei suoi scritti o nel suo gruppo personale su facebook: deliziosa.
A presto con la prossima intervista, ovvero quella all'autrice de "La Bellezza del Demonio", poison spring.

4 commenti:

  1. Io continuo ad adorarla... per il rossetto.
    No, non sdrammatizziamo. Il mio amore è più legato a Filo di Luce che a Atopika. ( sebbene le ami entrambe, s'intende.)
    Perché quando l'ho conosciuta, chiedendole di greco, o di latino, le sue parole e l'ironia ( altro che cimitero) mi hanno catturata, intrappolata, poi uccisa. Con Immobile Porcellanata (e spero di non aver errato il nome) ho conosciuto vecchie storie. Storie di pensieri incatenati, di introspezione alle stelle, di una Filomena molto più confusa della splendida autrice che è adesso. Quelle meravigliose storie, però, sono state il principio di ogni cosa. Il mio principio. E Filomena era il Caos, per rimanere in tema. Così splendida e luminosa nei suoi eye-liner e rossetti chanel, e così tetra, innamorata e simpatica in Peccato.
    Poi venne Venenum, al tempo Desdemona, che scriveva di champagne e tripli orgasmi. Di peccato e di amore. E allora siamo diventate una splendida famiglia felice. Ma questa è un'altra storia...

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  3. Atopika è fortunata perché a Natale siamo tutti più buoni, altrimenti avrei insistito sul discorso dei tabù tanto per imbarazzarla!
    Splendida autrice ed intervista davvero molto interessante!

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  4. @Ivana: anche io ti adoro... per il rossetto. Diciamo pure: i rossetti, perché il plurale è un obbligo morale. Pensa a che bella storia continueremo a scrivere con le sedicimila tonalità di rosso a disposizione <3

    @Mirya: ecco, tu sicuramente saresti riuscita a imbarazzarmi...(viva il natale!) ma da quando i leprotti marzolini rispondono alle domande in maniera attinente? magari per convincerti avrei scomodato e interpretato male un filosofo del calibro di homer simpson.

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