Dramione

Dramione

venerdì 9 dicembre 2011

Violet Hill

di Alessandra – Sily85


Pairing: Draco/Hermione
Rating: Verde
Genere: Romantico









“You know he couldn’t see
That she could be his everything
Bringing light to everything now”
Crossfade - Broken like an angel



La neve volteggiava leggera disegnando la sua figura immobile mentre, intorno a lui, i mattinieri espositori si affaccendavano alle bancarelle, chiacchierando tra loro per cercare di combattere il sonno e l’intorpidimento provocato dal freddo.
Una mano era stretta intorno al pupazzetto rattoppato, l’altra intorno alla bacchetta nascosta nella tasca, in attesa. Un ricordo gli si affacciò alla mente, cancellando, per qualche istante, il mondo circostante.

Aveva cinque anni e teneva stretto l’orlo impellicciato del mantello del suo papà, quasi correndo per stargli dietro mentre lui si faceva rapidamente largo tra la folla. Era la vigilia di Natale e ancora non capiva cosa ci facessero in mezzo a tutta quella gente. “Sporchi stupidi babbani” aveva sentito papà borbottare a bassa voce mentre si preparavano ad uscire da casa. La mamma si era chinata a stringergli la sciarpa intorno al collo dicendogli di fare attenzione, un dolce sorriso ad illuminarle gli occhi velati dalla febbre. Lui aveva annuito serio mentre l’eccitazione lo pervadeva rendendo le sue mani più fredde; l’aveva baciato teneramente sulla fronte e lui si era lasciato cullare dal suo profumo di casa. Poi si era alzata con grazia, richiamata dalla voce di papà:
 << Dobbiamo proprio? >>
 << Sì, hai perso la scommessa Lucius. Accettane le conseguenze! >> Lei aveva riso, una risata gioiosa come mille campane, avvolgendo più stretta la vestaglia intorno al corpo magro e flessuoso.
Papà l’aveva stretta sorridendo e l’aveva mandata verso il camino a riscaldarsi. Poi si era girato verso di lui: << Pronto? >> Il luccichio felice nei suoi occhi era bastato come risposta.
Papà si era fatto sempre più nervoso man mano che si avvicinavano alla loro meta e, quando avevano raggiunto il mercatino natalizio, era teso come una corda di violino. La bancarella che cercavano era in fondo e, per quel motivo, ora gli si aggrappava forte al mantello, per non perdersi nella mischia. Le risate delle persone che li circondavano erano una musica quasi sconosciuta per lui, che non era mai stato in mezzo a tanta gente così felice. Non che a casa non ridessero, anzi, in quel periodo dell’anno era sempre divertente gironzolare per casa mentre la mamma si dava da fare con le decorazioni – non lasciava mai agli elfi domestici quel compito –, ridendo e prendendo in giro papà che cercava di fare il burbero con scarso successo. Ma gli amici dei suoi erano tutti talmente seri, quei mantelli neri lo spaventavano. Conosceva pochi bambini, così quel turbinio di sorrisi, canti natalizi, gente che si scontrava e si scusava ridendo lo lasciava a bocca aperta. Gli occhi non sarebbero mai stati abbastanza grandi da raccogliere tutte quelle sfumature di luce e colore, le orecchie abbastanza sensibili per percepire e registrare ogni rumore di quell’allegra baraonda ed il suo naso abbastanza allenato per distinguere quella miriade di odori. C’era un profumo da far venire l’acquolina in bocca: mele caramellate, castagne arrostite, bacchette di zucchero, zenzero e cannella e infine eccola … la bancarella per cui avevano fatto tutta quella strada. Il venditore del vischio era un vecchio mago, “Sciocco babbanofilo” l’avrebbe definito suo padre con disprezzo, ma le sue ghirlande incantate intrecciate con l’agrifoglio erano immancabili persino a casa Malfoy. Anche i babbani facevano la fila alla bancarella, attratti dai colori accesi le  bacche rosse e bianche come perle, le foglie lucide come fossero state incerate dalle fate , attratti dal profumo fresco e pungente che si spandeva intorno e non svaniva praticamente mai. 
Lucius gli aveva raccomandato di non allontanarsi mentre si metteva in fila, un broncio a turbarne il bel viso. Aveva risposto di sì, un po’ confuso dal disagio del suo papà, quelle persone sembravano esattamente come loro.
L’aveva sentita con una chiarezza impensabile in mezzo a quel frastuono. Una risata di bambina. Ne era stato attratto senza volerlo, uno sfarfallio curioso nella pancia, aveva compiuto quei pochi passi verso la bancarella vicina seguendo quel suono come fosse casa, come quando, dopo un brutto sogno, correva ad occhi chiusi verso la mamma. La bambina era avvolta in un cappottino bianco come la neve, lungo fino ai piedi, i capelli castani sparsi sulle spalle, indomabili, le gote rosse e gli occhi accesi di gioia; la si sarebbe potuta scambiare per uno degli angioletti che facevano bella mostra di sé sulla bancarella se solo fosse rimasta ferma un attimo. Invece non la smetteva di ridere – “sorridere” l’avrebbe corretto lei molti anni più tardi – indicando felice gli angioletti bianchi di pezza. L’aveva spiata intimidito fino a quando lei si era accorta di lui e si era avvicinata facendolo arretrare e sbattere contro un cesto di bastoncini di cannella infiocchettati.
Cappotto bianco e cappotto nero. Opposti e complementari.
Capelli scuri a contrapporsi ai suoi biondo chiaro.
Due pozze di caldo cioccolato a specchiarsi nelle sue iridi di ghiaccio.
Non aveva parlato, ma gli aveva teso un angioletto bianco, spavalda e sicura, tra le sue mani, per le sue mani, i ricci rossi del pupazzetto avevano cambiato forma e colore, allungandosi e diventando l’esatta copia dei suoi: indomabili onde castane.
Ne era rimasto incantato ed intimorito, anche a lui era capitato di combinare qualche disastro con la magia, ma mai niente del genere: succedeva quando si perdeva il controllo, l’aveva rassicurato la mamma.
Lei invece l’aveva fatto con una calma assoluta, doveva volerlo davvero molto. La bambina aveva allungato ancora la mano in un gesto inequivocabile, un regalo per lui che se ne stava lì, perso a guardare quella bocca rossa tesa in un sorriso impossibilmente grande per qualsiasi altro viso che non fosse quello di lei, le dita a mezz’aria.
Ma subito il papà era arrivato ad afferrare la sua mano e tirarlo via, incurante di quello che stava succedendo. Aveva visto il viso di lei velarsi di un’ombra triste mentre allungava l’altra mano a stringere il vuoto. Era riuscito a guardarla un’ultima volta, da lontano attraverso le gambe di un signore altissimo, stava osservando l’angioletto tra le sue mani che adesso sfoggiava una capigliatura corta, biondo platino.

Per rivederla aveva dovuto aspettare altri sei anni da allora e non si era nemmeno accorto che fosse lei. Gli avvenimenti l’avevano cambiato, plasmandogli sul viso una maschera di sprezzante superiorità che lasciava scivolare via dagli occhi solo con pochi amici e sua madre. Aveva fatto quello che gli andava, come gli andava, con chi gli andava senza mai curarsi di nient’altro a parte se stesso ed i suoi desideri … fino al Natale del sesto anno.

Non ce la faceva più, il marchio continuava a bruciare sul suo avambraccio, la paura di essere scoperto era una morsa continua alla bocca dello stomaco. Paura di fallire, paura di riuscire. Da un po’ nella sua mente si faceva strada l’idea di un sogno, una vocina sottile gli sussurrava che stava sbagliando e lui era lesto a ricacciarla lontano, per la sua famiglia, per riscattare quel padre che aveva ormai perso la ragione e per proteggere quella madre che ancora resisteva, pronta a sacrificare ogni cosa per lui.
Si era nascosto in bagno a piangere. Piangere, era ridotto a questo ormai.
Il litigio con Piton, dopo la festa di quell'idiota di Lumacorno, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, Piton che voleva prendersi i meriti del suo lavoro, meriti per i quali avrebbe ottenuto maggior prestigio agli occhi del Signore Oscuro facendo scivolare lui e la sua famiglia ancora più vicino al bordo del baratro. Quando aveva alzato gli occhi dal lavandino sullo specchio aveva visto una figura avvicinarsi. Si sarebbe aspettato chiunque, persino Potter, ma di certo non lei. Nessuno sguardo di superiorità a turbarne il volto, sicuramente si sbagliava, le lacrime gli ingannavano la vista, sarebbe stata veloce a ferirlo con le parole prima che lui riuscisse anche solo a trovare la bacchetta.
Doveva attaccare per primo << Sei venuta a fare la crocerossina dei poveri, Granger? >>
Era da qualche giorno che se la trovava intorno nei momenti più impensabili, rendendo ancora più difficile portare avanti la sua missione. Inaspettatamente aveva ignorato il suo attacco.
<< So cosa stai combinando, Malfoy. Ti ho visto con quell’armadio svanitore nella Stanza delle Necessità e ti ho sentito discutere con Piton, so cos’hai in mente e posso aiutarti a rimettere a posto le cose >>
L’aveva preso in contropiede, colto con le difese abbassate, il cuore una preda facile tra le mani di lei. Si era guardato intorno veloce solo per scoprire la sua bacchetta spuntare dalla tasca del mantello vicino alla porta, l’aveva tolto e lasciato cadere appena si era sentito al sicuro oltre la porta del bagno. A quanto pareva si sbagliava, non si può mai essere davvero al sicuro, che sciocco era stato.
<<Quando lascerai cadere questa maschera? – la sua voce, raschiante nella sua gola quasi facesse fatica a trovare la strada tra i denti, l’aveva costretto a riportare lo sguardo su di lei – Ti ho visto da solo, ho visto il sorriso che hai quando leggi le lettere di tua madre, la risata sincera che regali ai tuoi pochi amici – allora era vero che lo spiava, e cos’era quell’urgenza nella sua voce? Aveva notato le mani di lei stringersi e sfregarsi tra loro e sui polsi sottili come per darsi conforto ed allentare la tensione. Sarebbero state fredde come le sue? – Ho  fatto i conti con tutto quello in cui ho sempre creduto, ho fatto i conti con i tuoi comportamenti verso di me e con i miei nei tuoi confronti e solo pochi giorni fa ho realizzato che questo non sei tu. – aveva preso un respiro profondo, lo sforzo traspariva e si irradiava da lei – Le persone cambiano, ma in fondo rimangono le stesse>> Era ipnotizzato dalle sue parole, perso in quegli occhi sgranati da qualcosa che non riusciva a riconoscere, gli occhi fissi a guardare un punto oltre quelle labbra tremanti che si stavano chiudendo in una linea dritta, controllata – era perché aveva finito di parlare? – solo quando l’aveva vista muoversi si era riscosso, recuperando l’equilibrio mentale per fermarla, ma lei l’aveva stupito ancora estraendo dalla borsa un pupazzetto malconcio: un angioletto bianco coi capelli biondi come i suoi.
Il ricordo gli era piombato tra i pensieri come un sasso in una pozza immobile, spandendoli in giro, confondendo la superficie, ma creando cerchi concentrici tutti intorno a lei.
Lei bambina di fronte a lui.
Lei nel vagone del treno con un sorriso che era stato in grado di cancellare con una sola parola. Mezzosangue.
Lei con quel vestito color pervinca.
Lei in lacrime.
Lei mentre lo colpiva con quel pugno che si era sempre meritato.
<< Pochi giorni fa mia madre mi ha mandato questo chiedendomi se me ne ricordassi, è stato il mio gioco preferito fino a prima del mio arrivo qui. Appena l’ho visto ho capito, – si era lasciata scappare un sospiro a nascondere il ricordo di un sorriso sul suo viso – le  mamme sanno sempre tutto ancor prima di noi. Per questo sono qui, ma ti avviso, avrai solo questa occasione. Quella volta sei stato trascinato contro la tua volontà, ora puoi scegliere >> Aveva fatto un passo indietro, come se fosse pronta a scappare da lui, gli occhi spalancati incapaci di reggere il suo sguardo.
<< Cosa mi stai domandando, Mezzosangue? >>
Un altro passo indietro e inaspettatamente – era Grifondoro dopotutto, il coraggio era il suo pane – l’aveva fissato dritto in faccia, una combattente pronta a scoccare le sue ultime frecce.
<< Di scegliere tra quello che sei davvero e quello che sei stato costretto a diventare. C’è ancora speranza, soprattutto a Natale >>
Aveva appoggiato il pupazzetto su un lavandino e se n’era andata lasciandolo stordito, i cerchi che si allargavano nella sua mente sempre più grandi e leggeri, spazzando via ogni sua convinzione e regalandogli una superficie nuova. Una parte di lui, quella vigliacca e ostinata, cercava di ribellarsi premendo forte dentro di lui per rompere lo specchio sotto il quale lei l’aveva confinata. Aveva allungato le dita verso l’angioletto e quando, tra le sue mani, i capelli avevano cambiato forma e colore, aveva capito.

Erano passati due anni da allora, due anni difficilissimi, due anni in cui lui e sua madre si erano dovuti nascondere, costantemente sotto la protezione dell’Ordine, ma ora era finita, poteva andarsene in giro relativamente tranquillo.
Stava arrivando, la percepiva sempre come una leggera onda sottopelle diretta ad avvolgergli il cuore di calore, lasciando le mani agitate a raffreddarsi ulteriormente, lei le avrebbe sentite quando l’avrebbe stretta e avrebbe capito.
Aveva imparato a dirglielo con i gesti più che con le parole.

<< Che freddo fa!>> gli aveva sbuffato una nuvola di fiato caldo e profumato di caffè dritta in faccia <<Malfoy, perché a quest’ora impossibile? Non c’è ancora nessuno!>>
Aveva sorriso come faceva solo con lei <<Mezzosangue… le persone importanti sono già arrivate>>.
Aveva imparato ad usare anche le parole per lei.
Si era accorta dell’angioletto tra le sue mani e aveva sorriso, di quel sorriso “impossibilmente grande per qualsiasi altro viso che non fosse quello di lei”. 
Si era affrettato a far suo quel sorriso con un bacio << Buon Natale >>.

Lui, l’ombra tra i capelli e dentro di lei.
Lei, la luce nella testa e nel cuore di lui.

  
Note: il titolo è ovviamente un omaggio alla splendida canzone dei Coldplay. So che ‘impossibilmente’ non esiste come parola, ma mi prendo la licenza poetica! Ringrazio le Blue Ladies per la splendida idea e per avermi costretta a scrivere una scemenza anche questo Natale. Grazie a Francesca, Chiara e alle ragazze (voi sapete chi) per i primi pareri, le correzioni e per avermi spronata a fare tutto questo. Un grazie speciale alla mia (che confidenza) Morgana per la presenza, gli insulti, le risate e l’infinita pazienza che dimostra sempre con me. <3

lunedì 5 dicembre 2011

Quello che vorreste sapere di un'autrice

L'intervista ad Atopika

A cura di Venenum.



Questa volta sono qui con Atopika, l’autrice di “Peccato” e “Medusa – come le fragole e il sangue”. Entrambe storie eccezionali, che hanno sicuramente catturato l’attenzione dei lettori più esigenti. In ogni suo scritto possiamo trovare un lessico curato, attento; Atopika tratta i suoi personaggi come panna, li fa continuamente montare e sgonfiare! Una delle sue particolarità è sicuramente il modo in cui intreccia le trame, seminando indizi nei capitoli più impensabili e  deliziandoci con il suo stile altamente infiammabile.
Atopika, hai recentemente scritto “Monsters”; che cosa ci racconti di questa storia, che fin dal primo capitolo mi ha conquistata? Come è nata l’idea di inserire dei mostri collegati alla realtà e ai sogni? I protagonisti hanno appena ripreso a vivere; dopo la guerra tutto è mutato, credi che sia questo uno dei fattori scatenanti o dobbiamo scavare più in fondo, pensando al passato di Hermione, di Draco e di Astoria?

Ciao a tutti! Per me è un onore ritrovarmi qui a condividere un po' di panna col gruppo. E a proposito di stile infiammabile e camini sempre accesi... prometto di tenermi lontana dall'accendino. Oggi si va avanti a candele, fanno più atmosfera!
Monsters è nata da un periodo di cui ho difficoltà a parlare, dalle riflessioni che ho maturato dopo settimane in cui mi sono sentita circondata dalla morte. Monsters è nata quando ho accettato che, per quello che ho scelto di fare nella vita, dovrò affrontare la morte più o meno ogni giorno. Così ho sentito il bisogno di rielaborarla. 
Sognare i mostri è un'esperienza comunissima, soprattutto quando si è bambini. Il mio pensiero l'ho trasmesso a Draco: da grande sogni ancora i mostri, ma quei mostri non nascono dalla paura per il futuro. A un certo punto ti rendi conto che proprio quei mostri sono ricordi del giorno prima. E allora ti senti spiazzato, se non riesci ad affrontarli. 
Per affrontarli ti viene in mente che devi conoscerli. C'è qualcosa di bizzarro in tutto ciò? Sì, ed è l'eventualità che certe volte ti avvicini così tanto, a quei mostri, da finire a farci l'amore. È una cosa da uscirne pazzi. Voglio dire: sono abbastanza convinta che una volta, mentre ci riflettevo, ho avuto le vertigini. 
Prima di capire che la questione era effettivamente molto semplice e prevedibile: quei mostri sono una parte di noi. Ci fai l'amore ed è come se ti abbracciassi.
Il fatto che Monsters inquadri il periodo successivo alla guerra è più legato a una questione di gusto personale. Mi sono accorta di amarlo perché mi dà la possibilità di infilarmi in un'atmosfera malinconica, a tratti sfuggente, ma piena di vita – di tutta quella che i personaggi vogliono recuperare. 
Naturalmente è anche una scelta strutturale: infilare i ricordi della guerra tra una riga e un'altra mi ha permesso di avvicinarmi a mostri d'elite, e si sa che uno è sempre curioso di spogliare qualcosa di esclusivo.


In “Monsters” troviamo delle parole particolari ma soprattutto cadute in disuso. Non è raro trovarle nelle tue storie – e per questo ringraziamo la tua immensa cultura – ma in un’epoca in cui vige il linguaggio SMS come ti trovi a inserirle in un contesto come EFP?

È vero. Ogni tanto utilizzo parole così morte che mi chiedo se una mia storia non sia un cimitero. Ma non lo faccio nella speranza di farle risorgere.
La mia voglia di rischiare con parole ormai cadute in disuso parte da una voglia ben più consistente: quella di ridere. Ci sono delle volte in cui vedi un sistema, un qualcosa che proprio non ti piace, e allora la reazione naturale ti porta ad agire in maniera opposta. A quel punto rischi di essere ridicolo pure tu (ma non fa niente: appena scrivo parole indicibili mi ripeto "panna e fragole" così tante volte da convincermi che siamo alla normalità).
Il linguaggio SMS fa parte dell’evoluzione della lingua, che è sempre una cosa in movimento lungo la storia. Per come la vedo io il problema del linguaggio SMS è la frattura che scava non col passato, ma col futuro. Ogni volta che si è evoluta, la lingua mirava a qualcosa, a volte non molto preciso, ma una meta c’era. Il linguaggio SMS non ha trovato nemmeno la sua direzione, se non quella dell’incomunicabilità.
Che sorprendentemente è anche il dramma di Hermione in Mosters. Il ragazzo medio può mai capire tutte le parole di cui si riempie la bocca? Assurdo.
Il percorso che ho fatto con Hermione è stato in qualche modo facile, perché non si trattava di un’intera generazione, ma solo di una ragazza da salvare. Io ho pensato a come salvarla, e lei ha pensato a cosa fare per salvarsi. Ci sono alcune scene in cui è vicinissima a Draco. Sono quelle le parti in cui risolve il problema dell’incomunicabilità.
Quando si presenta da Draco con la maschera da mostro e lui le chiede se per caso voglia sentirsi mostruosa, Hermione non gli risponde con un epiteto inconcepibile, ma con la più semplice delle frasi, che infatti è aperta a qualche interpretazione di troppo: una volta tanto le andava bene così.
Nella scena di sesso si trovano ancora più lontani dall’incomunicabilità, perché è lì che succede l’assurdo: Hermione non dice nemmeno una parola impossibile, anzi spiega qualcosa che aveva lasciato in sospeso, e lo fa con una semplicità che fino ad allora l’aveva terrorizzata: «il mezzo fraudolento. Sono le tue mani». Proprio mentre Draco pensava a una parola impossibile (ruscellante!) e si diceva che le calzava proprio bene. 
Allora hanno trovato un punto d’incontro, e la soluzione al problema in cui li avevo ficcati.
Alla fine con loro ho avuto una risposta anche io. Almeno, se la prossima storia sarà comunque un cimitero, avrò creato qualcuno impaziente di portarmi i crisantemi.


Ma “Atopika” quando ha cominciato a scrivere? Quale mostro popola le tue giornate – o le tue nottate – quando posi le dita su una tastiera o prendi in mano una penna? Sappiamo che sei molto ipercritica con te stessa, quindi mi chiedo cosa ti rimproveri più spesso e quale errore non smetti di fare, peccando con la Santa Scrittura che tu giudichi tanto importante?

Ho cominciato a scrivere dopo un paio di situazioni avventurose. Per esempio dopo aver preso cinque a un compito di italiano, perché non mi ero proprio applicata dato che la priorità era scrivere un fumetto con la compagna di banco. 
Però chi mi ha dato cinque non ha mai smesso di credere in me. Fin quando è arrivato un momento in cui la mia fissa per Ulisse mi ha indotta a fare un'assurdità. Me lo ricordo come andò. La prof mi chiese chi era Ulisse per me e io risposi che siamo tutti Ulisse. Poi fece: «sì, ma quale Ulisse? C'è quello di Omero, di Dante, di Pascoli, di Saba...».
Allora mi rovinai, perché dissi che eravamo tutti un Ulisse che non era stato ancora spiaccicato sulla carta.
Le mie prime storie sono disastrose per questo: quando creavo un personaggio, lo spiaccicavo sulla carta. Letteralmente. Non eravamo in sintonia, perché comunicavamo solo grazie alla rabbia.
Poi è arrivato un momento, l'anno scorso, in cui ho letto qualcuno che trattava i suoi Ulisse meglio di me. Allora ho tentato di adagiare i personaggi sulla carta, e poi di coccolarli. È stato bello, così bello che ora so per certo di volerlo fare a vita. Ciò non significa che coccolando Ulisse XXVIII mi sia liberata dei miei mostri.
Il mio mostro più grande è l'oscurità. Per molto tempo ho avuto difficoltà a spiegarmi, durante la stesura delle mie storie. Eppure il mio mostro è anche qualcosa di più reale, tangibile: me stessa. Non ancora riesco ad avere un controllo decente su di me. Ciò non vuol dire che scrivere sia un modo di controllarmi. Scrivere è un modo per trovare la me stessa che non ha bisogno di essere controllata. Per questo sarò pure un mostro, ma uno di quelli che voglio imparare ad amare.


Nominando il verbo “peccare”, ovviamente, non posso fare a meno di chiederti notizie di “Peccato”, la tua prima Dramione. Hermione è invischiata in un “Circolo per Credenti”, mentre Draco, quasi sempre, appare come il peccatore, il mefistofelico. Quando, esattamente, ti si è accesa la lampadina riguardo questa fan fiction? Cosa potremmo aspettarci dal finale e quanto manca per arrivarci? Abbiamo sentito in giro che si dividerà in due parti…

“Peccato” è il mio modo di ironizzare sul peccato. Davvero. C'è in giro una concezione del peccato che io non riesco proprio ad abbracciare. Insomma pare che fare una cosa proibita sia da peccatori. 
Perciò nella fanfiction chi è il peccatore? 
C'è una parte, nell'intro, che non compare proprio nella storia. Ed è una parte in cui Hermione pensa assurdità del tipo: sembrava che Draco avesse rubato i polsini a un Satana tentatore, perché quando le sfiorava il collo con le mani altro non era se non tentazione.
E poi fa: «Peccato», lo chiamò, e lui rispose: «Ricordami».
Allora la peccatrice è Hermione, che si invischia in qualcosa di proibito?
Qui entra in gioco la mia riflessione di fondo: per me il peccato non è qualcosa di proibito, io sono a favore della sperimentazione. Per me il peccato si misura in pezzi di vita. Togli pezzi di vita a una persona o a te stesso? Sei peccatore. Senza dubbio.  È per questo che li ho incastrati in un gioco di vita e di morte. È per questo che ho dato a Hermione l'illusione di sentirsi viva, e poi subito dopo minacciata di morte. Hermione sbaglia, ma non è peccatrice.
Quindi alla fine hai ragione tu: è Draco il peccatore, ma il motivo devo ancora spiegarlo. 
Non è peccatore perché fa pensate mefistofeliche, o perché è un ragazzino viziato che vuole tutto e subito. Draco è un peccatore perché sbaglia così tanto, che alla fine i suoi errori mettono a rischio la vita di qualcuno. Più di uno, per essere precisi. 
Allora cosa c'è da aspettarsi dalla fanfiction?
Che Draco possa ancora sbagliare. “Peccato” è antecedente al periodo della guerra, quindi non ho un personaggio che si confronta con se stesso per ritrovarsi. Ho un personaggio che deve confrontarsi con gli altri, con tutto ciò che gli è estraneo. Per conoscersi.
Draco e Hermione lo fanno. La differenza è che Hermione lo fa cercando anche se stessa, perché è pronta a cambiare per mandare avanti la baracca. Draco no. Draco non se lo fa venire nemmeno in mente. E tutto ciò avrà delle conseguenze, come quelle che prima o poi spiaccicherò nel capitolo venti.
La fine, questo posso dirlo, vedrà tutti i personaggi avanti di qualche mese, alla fine del sesto anno scolastico. E sarà così stupida e adolescenziale, che probabilmente riuscirà a raggiungere il suo scopo: far perdonare i peccatori, perché erano ingenui e ragazzini e non sapevano quello che facevano. A parte quando lo facevano nella stanza delle necessità.
  

In “A volte mi manco”, spin off di “Peccato”, hai evidenziato un Draco più sensibile rispetto alla storia madre. Che cosa ti ha spinta a scrivere in questo modo di lui? Raccontami del “tuo Draco”; di colui che abita nella tua mente. C’è qualche differenza con quello della Rowling? Quanto e quando l’IC è importante per te?

Io ho iniziato a scrivere di lui molto dopo aver letto “I doni della morte”. Ho questa immagine assurda in testa. 
All'epilogo del settimo libro ci sono io che abbraccio Harry, Hermione e Ron, ringrazio sentitamente e dico a Ron che ha una pancia da alcolista. Forse. Comunque ringrazio Harry che mi ha portata per mano nel suo mondo e me l'ha mostrato in maniera incredibile.
Poi invece di andarmene da lì, faccio una pensata molto malfoyesca: me ne vado al ministero della magia e rubo una giratempo. Così ripercorro tutti i loro anni a Hogwarts per conto mio, senza Harry a farmi da guida.
E qui nasce Draco come lo vedo io, non come lo vede Harry. Lo so, probabilmente è troppo diverso da come lo vede la Rowling (riverenza!), ma è il Draco che ho cercato di scrutare fino in fondo.
Quello che mi aveva presentato Harry era un ragazzino viziato, un attaccabrighe che si è beccato qualche pugno edificante, che parla delle mutande di Hermione ma non perché vuole vederle, e che ha i capelli biondi e gli occhi grigi.
Il Draco che ho visto io è un ragazzino viziato, un attaccabrighe che si è beccato qualche pugno edificante e ne meritava molti di più, che parla delle mutande di Hermione proprio perché vuole vederle, e che ha i capelli biondi e gli occhi così grigi che non ci si può impedire di pensare cosa ci sia, dietro tutto quel grigio. Il mio Draco è la risposta agli occhi che per Harry erano grigi, e per me nascondevano qualcosa. Il qualcosa è una catena di aspetti che non è uguale in tutte le mie fan fiction, ma ha sempre la stessa lunghezza, in modo da stare sempre a pennello intorno al collo di Draco – all’occorrenza, anche per strozzarlo.
 Il Draco di "A volte mi manco" lo sento vicinissimo: sia a lui che a me. Perché la condizione di Draco in quel pezzo di storia è una di quelle che prima o poi investono tutti. Draco dice che è persino stufo di guardarsi da dentro, che vorrebbe guardarsi attraverso gli occhi di lei, ma che sarebbe disastroso, perché per questa lei Draco è solo nulla da riscrivere. E qui c'è il dramma. Un dramma che in molti, penso, abbiamo provato spesso. Sentirsi nulla è il peggiore dei drammi.
Però io sono stata ottimista. Quando Draco finisce il suo pezzo, nella drabble, dice che mancarsi gli ha fatto bene, perché a mancare sono sempre le persone importanti. E lui è importante.


In “Medusa – come le fragole e il sangue” hai usato molti espedienti in ogni capitolo, ognuno più bello dell’altro; scimmie nude, ciaramelle, Il Maestro e Margherita… questi elementi ti hanno aiutata a costruire la trama della storia? Era tutto già pensato prima di essere trasferito su carta o hai seguito un’ispirazione momentanea?

"Ciaramelle" è stata un'improvvisata. Dai, dillo ad alta voce: ha un suono bellissimo. Come tutti i Natali in cui mio nonno mi faceva salire in piedi sul tavolo e mi faceva recitare “Ciaramelle” di Pascoli. 
"Ciaramelle" ha il suono di tutti i Natali della mia vita.
È stato il gioiello che ho usato per sentirmi preziosa mentre scrivevo. Il Maestro e Margherita invece sono amiconi, mi hanno aiutata proprio a costruirla, la trama.
Più di quanto si possa immaginare leggendo solo i capitoli. Io attraverso di loro ho visto il futuro della storia. È così che hanno dato spessore alla trama: sapevo che dovevo portare tutti i personaggi lì dove sono arrivati loro.
Alle scimmie nude pure ci avevo pensato prima di sedermi a scrivere. Ma è stata più una folgorazione che una riflessione. Suonavo e non riuscivo a seguire il metronomo. Se ci provi sai che è abbastanza umiliante. Perciò quando sono salita di nuovo in camera e mi sono ritrovata "La scimmia nuda" sul comodino, mi è venuto in mente l'esperimento con metronomi, ninne nanne, silenzi assurdi, cuori che battono, seni scoperti. Insomma: roba proprio per me, non potevo ignorarla ancora. Ero in paradiso: potevo usare quel maledetto metronomo per spogliare i personaggi. Sono soddisfazioni che si provano poche volte nella vita, e soltanto se ti ripeti che andante (con settantadue battiti al minuto, come i cuori sani)… andante è  carino, ma più veloce è sexy e più lento (adagio!, adagio!)... più lento può essere amore, o creazione.


Con “Medusa – come le fragole e il sangue” hai raggiunto un grandissimo successo, dovuto anche alla bellezza immensa e profonda della storia. “Alla fine del libro il maestro e Margherita non sono del tutto morti”. Si concludeva così la storia, con questa frase enigmatica e con un finale quasi tragico e lancinante. Ma esiste un seguito di “Medusa”? E se sì, come li immagini dopo la fine?

Certo che esiste un seguito! Però fortunatamente rimarrà nella mia testa. 
Ci sono dei passaggi, negli ultimi paragrafi, in cui io ho messo alcune parole che per me sono il vero seguito. 
Il seguito nasce da una riflessione di fondo. Narcissa è stato un personaggio che mi ha toccato molto, e ha toccato anche tanti altri e ne sono felicissima, sul serio.
Narcissa ha amato così tanto che magari ci si chiede come abbia fatto a non consumarsi. Ma non è detto che abbia lasciato un figlio adatto alla vita. Per me Narcissa non è un'eroina, Margherita lo era. Dell'eroina classica non è che le manchi la forza, ma l'esclusività. Ha fatto ciò che dovrebbero fare le mamme, secondo me, anche se certe volte ha esagerato. Non è un'eroina: è una mamma, e per questo è anche meglio. 
Perciò io nel seguito farei diventare molto amiche Narcissa e Margherita... si capisce, no?
E i due impiastri li metterei davanti a qualche decisione importante. Perché per ora l’unica decisione che hanno preso è stata quella di scegliersi, e si sa che una soluzione del genere è sempre la più pericolosa.


“Medusa – come le fragole e il sangue” si è classificata seconda al contest “Orgoglio Dramionesco” di LyliRose. Era il tuo primo contest? Hai mai partecipato ad altri concorsi di scrittura, che non obbligatoriamente devono essere legati a EFP? Cosa ha scatenato in te quando “Medusa” si è classificata seconda?

Quando Medusa si è classificata seconda? Mi sono dannata perché non avevo keglevich panna e fragola per festeggiare.
Il contest era un'esperienza nuova per me, ed è stata anche un'esperienza edificante. L'ho vissuto con serenità, soprattutto dopo aver consegnato la storia. Mi aspettavo un giudizio serio e imparziale: l'ho avuto ed è un bel traguardo.


Dai tuoi scritti viene fuori che sai essere molto persuasiva con l'occhio del lettore, ma il tuo occhio da critico, invece? Che cosa temi di più delle tue mani? Quando scrivi, che cosa senti attorno a te? Ti limiti ad ascoltare le parole della tua mente o scavi nel profondo del tuo cuore? E' un lavoro di ispirazione o è più manuale, che automatico? 

Quando scrivo intorno a me sento Brian Molko che mi dice che ho un rossetto bello come il suo. Se mi va bene lo sento parlare e cantare in francese. Io di francese non capisco nemmeno una parola, ma non è importante, perché così mi aiuta a sentire me.
E no, non scavo mentre scrivo! Mi ci vedi con una pala a buttare pezzi di cuore qui e lì? Ho un'immagine diversa in testa. Scavo prima, magari di notte, quando scavarsi nel cuore non sembra una cosa faticosa ma molto intelligente, mentre il giorno dopo ti sembrerà un filino assurda. Intanto ho tirato fuori qualcosa.
Ma quando scrivo è come se mi prendessi tutta – quello che di me non cambia mai, quello che ho appena scoperto –, come se mi prendessi proprio tutta, e mi abbracciassi. Se ti abbracci e non ti fai sfuggire niente allora funziona. Soprattutto quando ti abbracci senza stropicciarti la camicia o rovinarti la manicure. Quindi cosa temo? Di rovinarmi la manicure, tanto a casa non stiro io... Ah no, questa non è una risposta politically correct. 
Insomma: temo di non sapermi abbracciare.


Tutti gli autori hanno un sogno nel cassetto, ed è quasi sempre quello di venire pubblicati. Immagino che sia così anche per te. Ma naturalmente la domanda è a trabocchetto: cosa non vorresti mai che i tuoi lettori leggessero? Qual è il tuo tabù per quanto concernono i temi del sesso?

Il tabu è qualcosa che di solito usa il padrone per non far progredire il servo. Se devo essere serva (ma chi  vado a servire poi? Ulisse XXVIII?)... se devo essere serva, allora voglio un padrone che faccia del suo servo una divinità. E io sono di quelle persone ottimiste che pensano che quando il servo diventerà padrone, non metterà in conto nuovi tabu. Sono una serva libertina, Hegel l'avrebbe detto meglio di me. Perciò non sarebbe un tabu a limitare la nudità dei miei personaggi. Ma ci sarebbe un'altra cosa: la voglia di capire cosa voglio scrivere. Se scrivo di sesso, allora lo faccio come ricerca del bello – di una sensazione particolare, di una novità, di un’esperienza. Perciò se non dovessi scrivere come una tipa dotata di french beret alla ricerca della bellezza, allora o la scena di sesso sarebbe funzionale alla trama o sarebbe indice di mia personale astinenza dalla panna.
Tutto il resto non lo scriverò, perché non è quello che voglio fare.
Sia se continuerò su efp, sia se qualcuno un bel giorno sarà talmente in astinenza dalla panna da svegliarsi con la voglia di pubblicarmi.
Quel che temo di più è semplice. Temo che a chi mi legga non resti niente. Non voglio dare risposte ai lettori con le mie storie. È vero, io scrivo per darmi risposte, ma non sono nella storia, né sono quelle che servono agli altri. A me piacerebbe scrivere per fare le domande migliori del mondo.
Ho una nota nella mia pagina facebook, quella che usavo quando non riuscivo a continuare una storia. Lì dissi: risposte nessuno poteva darle, allora cercava chi faceva le migliori domande. A me piacerebbe essere una persona del genere. Perciò è questo che vorrei evitare: farmi leggere e non ispirare nemmeno una domanda.


Di Atopika sappiamo sempre che scrive nei suoi stati: "Dalla panna alla penna". 
Sei una abile divoratrice di panna? Essa è fonte di ispirazione per te? Da cosa trai le tue ispirazioni più profonde; cosa ti spinge a scrivere esattamente e quale atmosfera vuoi che ti circondi quando giochi con le parole?
Certo che sono divoratrice di panna, ma mica tanto abile! Per me la panna è un concetto, perché se qualcosa non lo rielabori come concetto non ti piacerà mai sul serio, fino in fondo. Ci pensi a un ricciolo di panna? È bellissimo. È come se fosse nuvola e materia prima per un filo di perle. 
Ecco, è di questo che ho bisogno: sentirmi circondata da qualcosa che reputo prezioso, anche se non esiste. Non mi importa altro dell'atmosfera.
Certo: se nella stanza ho il remake moderno delle invasioni barbariche, non scrivo. Ma questo capita soltanto quando qualcuno imprevedibilmente resiste al rosso delle pareti.


Atopika, ti firmi sempre con il tuo vero nome quando aggiorni una storia. Filomena. Quali sono le differenze sostanziali tra Atopika e Filomena? E quale delle due parti è più presente quando scrivi?
Ma soprattutto... Chi è nella vita di tutti i giorni Filomena?

Filomena è quella tizia che non si muove senza rossetto e che cerca di diffondere la parola di Naruto tra un mucchio di colleghi che guardano solo Dragon Ball. È una che si è imbucata a medicina perché voleva fare qualcosa di eroico, e perché medicina per una questione personale era l’unica cosa che probabilmente non doveva fare. Ma palpare i fegati è bello, come si può resistere? Così ora sta al terzo anno e ha cercato di fare di tutto: prendere un cuore in mano, vivere lì e tornarsene a casa perché l’indipendenza non è bella come la sua famiglia. Filomena, come dice sempre, suona spesso "La Tempesta" perché voleva dare la mano a Beethoven e assicurargli che la tempesta era tutta sua, non era né di qualche personaggio delle fanfiction né di Shakespeare. Perciò Filomena scrive di Draco Malfoy, il tipo con gli occhi presumibilmente tempestosi.
Ma qui c'è il dramma. Perché per scrivere di Draco Malfoy deve fare la fusione con Atopika. Hai presente se vai in un centro e dici: «ho bisogno di fare qualche esame alla tiroide» e loro ti danno in pasto un mezzo di contrasto per vedere se c'è qualcosa che non va? Bene. Il mio mezzo di contrasto è Atopika. Senza Atopika, Filomena non saprebbe cosa c'è che non funziona in lei. Filomena avrebbe anche meno problemi, ma non sarebbe altrettanto viva, perché avrebbe poca vita interiore.
Filomena è anche una grande estimatrice di Chuck. Chuck-quello-che-scrive e non Chuck Bass, perché di Chuck Bass vuole essere l'amante. 
Insomma un Chuck-che-scrive una volta ha scritto: “If I can't be beautiful, I want to be invisible".
Anche io. Ma non è una cosa narcisistica, è qualcosa che va oltre. È che ti svegli la mattina e ce l'hai col mondo perché ti sei dimenticata l'innervazione dello stomaco e allora dopo esserti vestita con camicia bianca e jeans neri, ti viene in mente che vuoi essere più bella. Atopika è il foulard rosso. Atopika è ciò che mi fa sentire più bella.
Perciò quando scrivo, dato che devo essere il massimo della bellezza, Filomena e Atopika devono coesistere.
C'è stato un periodo in cui volevo che fossero la stessa persona, ma ho avuto qualche difficoltà. Filomena non cambia molto, Atopika vuole cambiare come tutti i suoi personaggi. Allora ho capito che non saranno mai uguali, e me ne sono fatta una ragione. Anche perché oggettivamente con un foulard rosso che fa da mezzo di contrasto Filomena si sente più figa.



Anzitutto vorrei ringraziare Atopika per avermi concesso l'intervista. E' stato un onore poter discutere amabilmente con lei! E' davvero come la incrociamo nei suoi scritti o nel suo gruppo personale su facebook: deliziosa.
A presto con la prossima intervista, ovvero quella all'autrice de "La Bellezza del Demonio", poison spring.

sabato 3 dicembre 2011

CONTEST - CAPODANNO DRAMIONESCO A LUCI ROSSE



“C’è qualcosa nel capodanno di estremamente rosso e peccaminoso. I giorni di un intero anno sono finiti, ma noi siamo davvero pronti a voltare pagina? A iniziare un nuovo libro?
A dimenticare ciò che abbiamo passato per accogliere nuovi ricordi?”

Benvenuti al Contest del Capodanno Dramionesco a Luci Rosse, dove tutto è possibile, dove la perversione – con le dovute regole imposte da efp, se intendete postare la storia lì, altrimenti potrete inviarla a blueladies@hotmail.it e noi la inseriremo nell’archivio delle Dramione presenti nel blog – dicevo, dove la perversione è accettata.
Un Capodanno Rosso deve essere cosa da autrici che intendono mettersi in gioco, dove il gioco può non avere fine.
Diversamente dall’Iniziativa di Natale, questo è un contest dove le vostre storie saranno valutate e dove ci sarà una classifica che noi non vi sveleremo subito; nemmeno i premi saranno comunicati adesso. 
Ci sono dei pacchetti – tutti rigorosamente rossi – e dovrete rispettare ogni traccia inserita. Altrimenti sarete squalificati.

Pacchetto Frutta:
1.    Ciliegia – Bustino – Panna. (Scelto da Scarlett White)
2.    Fragola – Camicetta Trasparente – Cioccolata. (Scelto da Poseidonia)

Pacchetto Sesso:
1.    Prima Volta – Nudità – Morsi.
2.    Sesso Orale – Imbarazzo – Penetrazione.

Pacchetto Sadomaso:
1.    Manette in pelle nera – Baby Doll – Caviale e Champagne.
2.    Frustino Rosso – Maschera di Gatto – Vibratore.

Questo tipo di pacchetto è assolutamente vietato da postare su EFP, pertanto vi preghiamo di inviare le storie a blueladies@hotmail.it e noi provvederemo a inserirle nel nostro archivio dedicato alle Dramione.

Pacchetto Alcool:
1.    Tequila – Ombelico – Preservativo.
2.    Birra – Labbra – Contraccettivo/Pillola.

Pacchetto Arduo:
1.    Burlesque – Canini – Orgasmo. Avvertenze: What If/IC
2.    Accenni Bondage – Strip Club – Unghie. Avvertenze: AU/IC (Scelto da Acardia)



Le storie devono essere rigorosamente a rating rosso, mentre il genere erotico; esse, inoltre, dovranno svolgersi nell’arco della giornata di Capodanno – giorno, pomeriggio, sera – e dopo, ovviamente, la mezzanotte. Gli autori che intendono partecipare dovranno attenersi a tutte le regole imposte dal bando.


Cosa accettiamo:
One Shot e/o Mini Long di massimo due capitoli.
Le storie AU sono consentite fuori da Hogwarts – quindi in qualsiasi parte del mondo – ma deve essere inserita necessariamente la magia. Quindi nessun stravolgimento della Saga.

Cosa non accettiamo:
Parodia/Demenziale.


SCADENZA E POSSIBILI PROROGHE:
Le storie vanno pubblicate entro il 31/12/2011.
Possibile proroga: 7/01/2012


Abbiamo detto tutto. Come al solito vi auguriamo buona scrittura!

giovedì 1 dicembre 2011

L'Albero delle Dramione

Avete mai sognato di realizzare l’albero dei vostri sogni? Qualcosa di tenero e antico, un albero pieno di citazioni e di cose che ci appartengono?
Quest’anno allestiremo un albero che ci e vi rappresenterà, ma soprattutto avrà a che fare con loro, Draco e Hermione.
Non è un contest, ma un’iniziativa a cui solo venti persone potranno accedere.
Siete pronte per scoprire l’arcano?
Avrete venti giorni di tempo per scrivere una storia, che come tema centrale ovviamente avrà il Natale. Noi vi daremo venti prompt – ognuno è un addobbo Natalizio – e su ciò si dovrà basare la storia.
Lo staff sceglierà, in seguito, le citazioni più belle di ogni storia per appenderle all’albero.
Ovviamente un partecipante può scegliere un solo prompt e quest'ultimo può essere scelto da una sola persona.

I prompt:

  1. Farfalla dorata. (Scelto da Ivana)
  2. Palla blu spruzzata d'argento.
  3. Palla rossa spruzzata di verde. (Scelto da BleuCry)
  4. Angioletto bianco. (Scelto da Alessandra)
  5. Ciliegie dorate e argentate. (Scelto da Emily)
  6. Mele rosse. (Scelto da Alexluna)
  7. Uccellino di brillantini d'oro.
  8. Palla di vetro dipinta a mano con nome scritto sopra. (Scelto da Atopika)
  9. Stelline sbrilluccicose. (Scelto da Jole)
  10. Puntale a stella. (Scelto da Elle)
  11. Babbo Natale appeso. (Scelto da Caterina)
  12. Foglie dorate. (Scelto da Nefene)
  13. Angioletto di perline. (Scelto da Jessie)
  14. Un trenino pieno di renne. 
  15. Un angelo cherubino.
  16. Un Babbo Natale rubicondo che esce da uno stivale.
  17. Palla verde con babbo natale bianco.
  18. Palla dorata con stelle rosse.
  19. Palla azzurra di cristallo. (Scelto da Laura)
  20. Palla di diamante.
La storia può essere una OS, una drabble o una flash e per partecipare basta commentare questo post… ricordate: solo venti persone!
Ovviamente, non essendo un contest, potete pubblicare la fan fiction appena finita, senza doverla mandare prima a noi! Però ci farebbe piacere se ci mandaste il link via e-mail, oppure lo postaste nel gruppo. Per qualsiasi dubbio, avete la nostra e-mail.
Siamo sicure che ci stupirete, come sempre. Buona scrittura!